ALL’ALBA DEL VENTITRÉ
L’inflazione è arrivata al capolinea, ma la guardia va tenuta ancora alta
Chissà se questa volta verrà rispettato il significato attribuito dalla numerologia al 23, che rappresenta la fortuna. Certo, un po’ di fortuna non guasterebbe per uscire dal giro di schiaffi in cui ci siamo trovati circa tre anni fa quando il coronavirus cominciò ad infestare l’orbe terracqueo. E poi, a seguire, guerra, inflazione, crollo dei mercati, e le prime avvisaglie di recessione. Zanzare e cavallette ne abbiamo avute a bizzeffe; mancano (per ora) le rane e le mosche tropicali, e per le piaghe d’Egitto saremmo davvero sulla buona strada…
Solo che per almeno un paio di casi (inflazione e recessione) non si può incolpare il destino cinico e baro, ma in buona parte il comportamento dell’uomo, o meglio di coloro che sarebbero preposti alla guida delle politiche monetarie e al governo della moneta, ovvero le banche centrali. Non per malvagità o cattiva volontà, ci mancherebbe, ma forse per incompetenza o, volendo essere magnanimi, per sottovalutazione delle conseguenze che determinate scelte comportano. Poi errore chiama errore, il rifiuto di riconoscere la realtà (l’inflazione definita transitoria, il disinteresse per i mercati, la disoccupazione come male minore) e lo sbandamento delle dichiarazioni dal sen fuggite hanno fatto il resto.
Il punto è che i mercati oggi reagiscono molto ai comportamenti dei banchieri centrali (spesso anche solo ai loro statements) e molto meno ai fondamentali dell’economia. O meglio: i fondamentali incidono in quanto sono ritenuti idonei a provocare determinati comportamenti da parte delle autorità monetarie. Ad esempio: esce un dato del PIL positivo e la reazione del mercato è negativa perché si attendono ulteriori inasprimenti delle misure restrittive delle banche centrali su tassi e liquidità, dato che la lotta all’inflazione non verrà frenata dalle preoccupazioni sull’economia. Una dimostrazione di quanto conti l’azione degli “uomini senza cuore” (quelli della barzelletta di Mario Draghi sui banchieri centrali) sull’andamento dei mercati finanziari.
Detto questo, vediamo cosa potrà succedere da qui alla fine dell’anno, come ci presenteremo all’inizio del 2023 e cosa ci dobbiamo aspettare nell’anno che verrà. Non per fare esercizio di chiaroveggenza, ma per capire come un investitore razionale dovrebbe comportarsi in una situazione instabile e in continua evoluzione come l’attuale.
Delle “piaghe” elencate all’inizio, l’impressione è che una – l’inflazione – abbia raggiunto un livello di stabilizzazione, anche se con alcune incognite che non devono essere sottovalutate; e l’altra – la guerra – potrebbe essere alle battute finali, non volendo credere all’armageddon della disperazione con conseguente ricorso all’armamento atomico.
Come dicevamo in tempi non sospetti, l’inflazione è probabilmente arrivata al capolinea. Non nel senso che i prezzi scenderanno e torneranno ai livelli di qualche anno fa, ma nel senso che il loro tasso di crescita rallenterà gradualmente fino a fermarsi a quel livello considerato accettabile, che non è più l’originario 2% ma un più realistico 4/5%. Livello che in pratica è già stato raggiunto, come vedremo fra un attimo.
Le ultime rilevazioni negli USA mostrano un calo della cosiddetta inflazione core (ovvero quella depurata dei prezzi alimentari e dell’energia) mensile dallo 0,6% allo 0,3%, mentre quella media anno su anno si è attestata al 7,7%. L’inflazione tendenziale, quella che conta, è dunque al 3,6% (0,3% x 12). Conta la tendenziale perché è quella che guarda al futuro, mentre la media è un dato storico: come se per guidare guardassimo lo specchietto retrovisore anziché davanti.
Quello che gli osservatori più attenti hanno sottolineato, è che all’interno di questo dato la componente degli affitti (che pesa circa per il 40% dell’indice) è diminuita per la prima volta da molti mesi, e anche quella relativa ai servizi ha notevolmente rallentato la sua corsa. Per questo le precedenti aspettative sull’aumento dei tassi da parte della FED – che davano per sicuro un aumento dei tassi dello 0,75% entro la fine dell’anno – sono state riviste nel senso di prevedere un aumento di “solo” 0,50% e rinviato all’anno prossimo.
I tassi hanno reagito immediatamente scendendo (il Treasury Bond decennale USA è ora sotto il 4% e quello a 2 anni è passato dal 4,7 4,33%). E i mercati hanno festeggiato col botto: il Dow Jones +3,7%; il Nasdaq + 7,35% e la borsa di Hong Kong il 7,52%.
Ecco spiegata la fiammata dei mercati della scorsa settimana, che però non deve trarci in inganno. Il trend è ancora ribassista, e si tratta ancora di un rimbalzo anziché di un vero e proprio cambiamento di direzione.
Da qui a fine anno probabilmente ci saranno altri episodi del genere, magari alternati a qualche rovescio, e questa è senz’altro una buona opportunità per la gestione tattica, che sarà tanto più favorita se effettivamente i venti di guerra cessassero di soffiare e si aprisse uno spiraglio per i negoziati. In questa situazione, se dovessimo scommettere su un settore, probabilmente punteremmo sui titoli tecnologici, eccessivamente penalizzati nelle scorse settimane.
Tuttavia la tanto temuta recessione è effettivamente dietro l’angolo, e il 2023 vedrà un’economia debole e in flessione. Per questo la strategia di investimento deve puntare a mantenere liquido il portafoglio in prospettiva di investimenti stabili solo al momento in cui la recessione darà segnali di abbandonare la scena, ovvero non prima dell’estate.
I tassi a quel punto avranno raggiunto il loro picco e inizieranno la discesa, sulla spinta degli stimoli monetari dei soliti banchieri centrali, che – realizzato ormai l’obiettivo di contenere l’inflazione – potranno pensare a sostenere la produzione. Quello sarà il momento in cui, dopo qualche anno, potrà essere conveniente valutare anche l’ingresso sul mercato obbligazionario.
L’incognita principale, in questo scenario, è l’andamento del mercato dell’energia. Fino ad ora i prezzi sono scesi, anche oltre le attese, ma ben presto arriverà il generale inverno, finiranno le riserve vendute dagli USA proprio per contenere i prezzi, e la ripresa dei mercati emergenti – in primo luogo la Cina – potrà di nuovo infiammare i listini petroliferi.
Sintetizzando, le indicazioni per l’investitore che emergono da questo quadro molto plausibile sono: incursioni tattiche sul mercato da qui a fine anno soprattutto sui titoli tecnologici; mantenere una liquidità di base per affrontare la recessione che si prepara e tornare a investire in prospettiva stabile solo dopo l’estate, una volta che i fondamentali avranno ripreso a marciare.
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