I TASSI INVERTITI

I TASSI INVERTITI

Mer, 11/30/2022 - 21:03
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Cosa porterà l’anno prossimo sui mercati e nei sistemi economici?

.tasso

Si avvicina fine anno, tempo di bilanci ma anche di strategie. Sui bilanci non c’è molto da dire: tutti abbiamo visto come sono andati i mercati in questo 2022 e, chi più chi meno, ci siamo leccati le ferite almeno fino a un mesetto fa. Dopo lo splendido 2021, il tempo ha virato al brutto e, complice la decisa e talvolta violenta politica monetaria restrittiva di Fed e simili, l’orso è tornato a impadronirsi delle quotazioni.

L’inflazione stava infatti crescendo oltre misura, ben oltre il misero tasso obiettivo del 2% che da anni le banche centrali si erano date in tempi di forte e perdurante stabilità dei prezzi, ed occorreva raffreddare il sistema, sia riducendo l’enorme liquidità in circolazione sia aumentando i tassi di interesse. Era ovvio che le economie dei diversi paesi ne avrebbero risentito, e infatti la Fed aveva dichiarato che questa nuova policy restrittiva avrebbe comportato un aumento della disoccupazione di mezzo punto percentuale (cosa puntualmente verificatasi). Ed era altrettanto ovvio che i mercati azionari – così come le imprese - non avrebbero gradito (e infatti si è scatenata una gragnola di vendite). Conseguenze, entrambe, ampiamente attese e scontate dai potenti banchieri centrali.

En passant, talvolta viene da chiedersi quale sia la legittimazione dell’immenso potere che questi super tecnocrati esercitano, arbitri incontrastati del lavoro e dei portafogli di milioni di persone. Perché se è del tutto comprensibile che la politica fiscale e di spesa di un Governo assuma un preciso indirizzo politico, che verrà poi sottoposto alla valutazione degli elettori, ben più difficile è accettare che funzionari sicuramente bravissimi e preparatissimi ma del tutto autoreferenziali abbiano un potere così vasto sui destini di moltissimi cittadini. Così è se vi pare, parafrasando un grande siciliano.

.luigi pirandello

Facciamo allora il punto su come e perché i tassi di interesse e la quantità di moneta in circolazione influenzano prezzi e produzione e, soprattutto, cerchiamo di capire cosa si deve aspettare il risparmiatore accorto per il prossimo anno.

I tassi di interesse sono un elemento chiave nelle decisioni di produzione e consumo, di investimento e – conseguentemente – per i livelli dei prezzi. Si tratta di concetti molto lineari e in genere suffragati dalle statistiche empiriche. Quando i tassi salgono, i mutui e i prestiti diventano più cari per famiglie e imprese, e quindi la domanda di beni di consumo (soprattutto quelli durevoli) e di beni di investimento complessivamente diminuisce. Se la domanda diminuisce, anche il prodotto lordo e la ricchezza si contraggono: meno produzione, meno lavoro, meno salari e meno consumi.

Si comprano meno case (le rate di mutuo diventano più onerose) e le imprese rinviano o rinunciano ai programmi di investimento.

Non solo: diminuendo la domanda, anche la pressione sui prezzi si riduce e quindi tendenzialmente l’inflazione dovrebbe diminuire, che è proprio lo scopo della manovra dei banchieri centrali. Se i tassi aumentano, probabilmente le imprese avranno più difficoltà a fare utili e molti risparmiatori preferiranno spostare il loro denaro sulle obbligazioni, il cui rendimento aumenta. Per questo il valore delle azioni diminuisce: minore prospettive di utili per le società quotate e maggior appeal dei titoli a reddito fisso.

È quello che è successo nel corso del 2022: aspettative di aumento dei tassi, economie che si preparano alla recessione e mercati azionari in calo significativo. Poi c’è stato, come avevamo previsto, il rimbalzo dell’ultimo mese, che non indica però inversione del trend ma semplice movimento temporaneo dovuto alla diffusa sensazione che l’inflazione fosse arrivata al capolinea e che la politica restrittiva delle banche centrale avrebbe rallentato la sua marcia.

.orso

Non ci illudiamo: anche se l’inflazione ha raggiunto – con gli aumenti di questi giorni -  il suo picco e diminuirà, la recessione è alle porte e il nuovo anno inizierà all’insegna dei mercati bearish, ovvero sotto lo scacco dell’orso.

Cosa deve fare, in questo quadro, il nostro povero risparmiatore? Certamente è ancora presto per tornare a investire in modo massiccio sull’azionario, ma si può cogliere qualche buona occasione per contenere le perdite e il rischio di portafoglio (vendendo sui rialzi) oppure per un trading intraday quando il tono dei mercati è sostenuto.

Un chiaro segnale di peggioramento delle condizioni economiche è dato dalla cosiddetta “inversione della curva dei tassi”, che si manifesta prima di ogni fase recessiva. Ovvero, ogni recessione è preceduta dall’inversione della curva dei tassi, anche se non sempre accade il contrario: i matematici direbbero che è condizione necessaria ma non sufficiente.

Di che si tratta? Molto semplicemente del fatto che ad un certo punto i tassi a breve scadenza (da pochi mesi a due anni) diventano più alti di quelli a lunga scadenza (cinque anni e oltre). È quello che è successo negli USA in questi giorni: i Treasury Bond a 10 anni sono scesi da 4,2 a 3,7% e quelli a 2 anni isolo dal 4,7 al 4,5%. Ovvero: investendo in titoli a 10 anni si ha un rendimento più basso che non investendo in titoli a 2 anni.

 .drenaggio

Il brutto tempo, direbbe il Nostromo, è in arrivo. Per questo conviene mantenersi il più possibile liquidi e non esposti in attesa che la recessione faccia il suo corso e il cielo cominci a rasserenarsi: a quel punto – quando i tassi si ridurranno in modo stabile e l’inflazione sarà più contenuta - si potrà tornare a investire non solo in azioni (le banche centrali dovranno necessariamente allentare la morsa, di fronte al peggioramento dell’economia) ma anche in obbligazioni, che vedranno i prezzi finalmente risalire.

Questa è la view sulla quale conviene, in questa fine d’anno, rimodulare la strategia di portafoglio.