LE DOLENTI NOTE DI GIORGIA E GIORGETTI
Il Governo alla prova della legge di bilancio: i conti non tornano
Il problema dei migranti è certamente un’emergenza molto grave, impegnativa e complicata da risolvere per il Governo, e la strategia di visibilità e accreditamento sul piano internazionale un’importante sfida per Meloni: i due argomenti che riempiono in questi giorni le pagine dei giornali e dei media sono tutt’altro che trascurabili. La vera mission impossible – di cui si parla molto meno – è però per l’Esecutivo di centro-destra quella della legge di bilancio.
Per la verità ogni tanto arriva un grido di dolore o un warning da parte del Ministro dell’Economia Giorgetti, ma l’abile comunicazione governativa riesce a relegarlo fra le notizie minori. Come diceva Ennio Flaiano, da noi la situazione politica è molto grave, ma non è seria; cerchiamo allora di capire come siamo messi e cosa ci aspetta per i prossimi mesi.
Per i lettori più attempati, lo spettro che si profila è quello del 1992, con il famigerato governo Amato, quello che nottetempo entrò nei conti bancari degli italiani addebitando il 6 per mille del saldo. Fortunatamente quella misura espropriativa non è più stata ripetuta, ma la situazione del tempo presentava sinistre analogie con quella attuale, anche se i numeri del fabbisogno pubblico erano allora meno disastrosi di quelli attuali. L’Italia rischiò seriamente il default, eventualità che oggi è scongiurata dalla nostra appartenenza all’area Euro.
La sera del 13 settembre 1992, infatti, la lira – dopo il declassamento del rating del paese da parte di Moody’s - aveva perso il 7% nei confronti del marco, utilizzando tutta la fascia di oscillazione consentita dallo SME (Sistema Monetario Europeo)[1]; la successiva sospensione della nostra valuta provocò un crollo del 25%, sotto i colpi d’ariete di George Soros e della speculazione internazionale.
Ebbene, quella terribile finanziaria doveva reperire risorse per 30.000 miliardi di Lire (all’incirca corrispondenti a 25 miliardi di Euro odierni, considerando anche la svalutazione monetaria), di cui 8.000 vennero reperiti proprio attraverso l’esproprio sui conti correnti.
Oggi, per il solo effetto dell’aumento dei tassi di interesse che obbligano lo Stato a pagare di più per gli interessi ai possessori di BOT, CCT e BTP, verranno meno per le casse dello stato 14/15 miliardi (secondo la stima dello stesso Ministro Giorgetti); inoltre il maggior onere per il superbonus rispetto alle stime supera gli 80 miliardi di Euro[2]. Non solo: l’economia va decisamente peggio del previsto: l’OCSE prevede infatti per il nostro paese un PIL in crescita ridotta all0 0,8% sia per il 2023 che per il 2024, a fronte delle precedenti stime di 1,2 e 1,1%, con conseguente ulteriore minor gettito da imposte sul reddito e IVA.
Oggi come allora siamo di fronte a un’inflazione relativamente alta (anche se ora in fase calante) e tassi di interesse cresciuti a dismisura: nel 92 per difendere il cambio della lira e mantenersi all’interno della banda di oscillazione dello SME, oggi per effetto delle politiche monetarie restrittive poste in essere dalla Banca Centrale Europea. Questo limita fortemente il raggio d’azione del Governo in termini di politica fiscale e di spesa pubblica, per evitare di cadere nel vortice della recessione.
Quanto alla politica di bilancio, tocca citare ancora Giorgetti, secondo il quale se non viene approvata in sede UE la modifica delle norme sul patto di stabilità, ben difficilmente l’Italia riuscirà a rispettare i parametri. Il deficit, che oggi sta veleggiando intorno al 3,7% del PIL, verrà necessariamente rivisto al rialzo, come pure il debito pubblico, che non ha ancora assorbito le misure straordinarie a suo tempo prese per contenere gli effetti della pandemia.
La modifica richiesta dall’Italia, sulla quale per altro si stenta a trovare il consenso degli altri partner, consiste in sostanza nella possibilità di classificare come investimenti pubblici (e quindi fuori dal patto di stabilità) una serie di spese che oggi rientrano nelle uscite correnti. È una strada già a suo tempo intrapresa da Mario Draghi, interrotta per la crisi di Governo, e che oggi è sicuramente più impervia per la ridotta autorevolezza all’estero del nostro esecutivo rispetto a quello di Super Mario.
Neanche sotto il profilo del fabbisogno di cassa le cose vanno meglio, perché la terza rata del PNRR di 18,5 miliardi di Euro non è stata ancora incassata, mentre per la quarta rata di 16,5 miliardi si è appena ottenuto il via libera alle modifiche proposte dal Governo.
Tutto questo si traduce inevitabilmente nella necessità di ricorrere in modo massiccio al mercato dei capitali, con emissioni monstre di titoli del debito pubblico, che il Tesoro dovrà assicurarsi di poter collocare, pena l’incapacità di adempiere alle proprie obbligazioni. Ma per far questo, occorrerà pagare interessi ancora maggiori, e quindi con uno spread in prevedibile crescita, e rivolgersi col cappello in mano alle banche affinché sottoscrivano i nuovi titoli. Proprio quelle banche che il Governo ha recentemente (e forse illegittimamente) penalizzato da poco con la tassazione straordinaria sugli extra profitti.
Si prospettano settimane di passione per Giorgia & Co., durante le quali la sopravvivenza del Governo verrà messa a dura prova. Forse non sarà sufficiente distrarre l’opinione pubblica con iniziative eclatanti e di pura immagine, ma toccherà trovare qualche soluzione per “passare la nottata”. Prima di pensare al presidenzialismo o cose del genere, sarà meglio mettere in sicurezza i conti pubblici, o almeno trovare il modo di finanziare le spese.
[1] Il sistema monetario europeo (detto anche SME), fu un accordo europeo nato per il mantenimento di una parità di prefissata (stabilita dagli Accordi europei di cambio), che poteva oscillare entro una fluttuazione del ± 2,25% (del ± 6% per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento un'unità di conto comune (l'ECU), determinata in rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei paesi aderenti. Ha cessato di esistere il 31 dicembre 1988 con la creazione dell’unione economica e monetaria dell’UE (da Wikipedia).
[2] Si veda, in proposito, il nostro avviso ai naviganti dell’11/9/2023 in https://www.marcoparlangeli.com/2023/09/09/avviso-ai-naviganti-rimandiamo-a-scuola-i-ragionieri
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