IL MERCATO HA SEMPRE RAGIONE
Il sentiment diffuso è di disagio e instabilità, ma il mercato continua a tenere
Uno degli episodi più significativi del modo di pensare del compianto premier Silvio Berlusconi fu la sua dichiarazione, dopo una delle prime sconfitte elettorali di Forza Italia, che “gli elettori hanno sbagliato: i sondaggi ci davano vincenti”. A parte la sua (forse mal riposta) fiducia nei sondaggi, ciò voleva significare che la sua (di Silvio) visione era quella giusta, anche di fronte a un chiaro pronunciamento dei votanti, che per lui erano “il mercato”: la sua politica era infatti basata sulle tecniche di marketing utilizzate per acquisire il consenso.
Una cosa del genere sta avvenendo in questo strano mese di gennaio. La sensazione diffusa nell’opinione pubblica, non solo italiana, è un senso di instabilità e disagio dovuto non solo alla situazione geopolitica, con i due conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente sempre in procinto di allargarsi fino all’impegno diretto delle superpotenze, ma anche alle incertezze economiche. L’inflazione sembra infatti aver rialzato la testa, il lavoro è percepito sempre come precario e instabile, i flussi di immigrati aumentano continuamente e sembrano ingestibili.
Di fronte a questo sentiment negativo, per il quale nel corrente anno elettorale si paventano consistenti spostamenti di voti a favore di formazioni “antisistema”, populiste e sovraniste (quello che un tempo si definiva “voto di protesta”), i mercati finanziari esprimono una calma olimpica e una notevole capacità di tenuta. Nonostante le dichiarazioni di quasi tutti i banchieri centrali, che ritengono molto difficile poter avviare riduzioni di tassi prima dell’estate, i mercati azionari in USA, Europa e anche in Italia girano sempre intorno ai massimi. Se una dichiarazione particolarmente pessimistica provoca brusche cadute dei prezzi, il giorno dopo i listini si riprendono.
Siccome mercati e opinione pubblica, alla fine, si basano sull’osservazione di una stessa realtà, non si capisce quindi perché le valutazioni che esprimono siano così distanti. Chi ha ragione allora? I mercati finanziari o gli analisti politici ed economici?
Forse entrambi, forse nessuno, difficile dirlo. Di sicuro assisteremo nelle prossime settimane a una marcata volatilità, a seconda che prevalga un orientamento o l’altro.
Anche la lettura in chiave politica, in prossimità delle tornate elettorali che ci aspettano, è tutt’altro che univoca. In Europa le cose non vanno poi così male, eppure sia AfD (il partito ultraconservatore tedesco, con malcelate simpatie neonaziste), sia il Fronte nazionale (il partito della destra francese guidato da Marine Le Pen), sia Trump negli Stati Uniti, se non verrà fermato dalla magistratura, minacciano di mietere successi a man bassa.
Ci sarebbe da aspettarsi che anche i mercati finanziari virassero verso il brutto, ma come si diceva questo non accade. E alla fine i mercati hanno sempre ragione, i prezzi veri sono quelli che si formano dall’incrocio fra domanda e offerta. E la domanda di questi tempi è ancora sostenuta. Magari non durerà, ma per ora prevale ancora il denaro. La cartina di tornasole saranno i risultati delle maggiori società, che stanno cominciando ad uscire. Lì vedremo quanto la politica monetaria restrittiva, con tassi alti e riduzione della liquidità, ha effettivamente inciso sui conti aziendali.
Prendiamo ad esempio l’Italia. La situazione politica si è piuttosto complicata negli ultimi mesi, i contrasti nella maggioranza si sono intensificati (favoriti anche da episodi di malaffare e di spari inconsulti) e se la Meloni appare ancora solida in sella è solo grazie all’inconsistenza delle opposizioni. È pure vero che la disoccupazione è ancora poco sotto all’8 e quella giovanile sfiora il 25%, ma gli ultimi dati Istat oggettivamente forniscono un quadro tutt’altro che tragico.
L’occupazione continua a crescere ed ha raggiunto ora il record storico del 62%; i posti di lavoro a tempo indeterminato sono aumentati di 455.000 unità rispetto a un anno prima e quelli a termine si riducono di 64.000. Sempre secondo l’Istat, rispetto al febbraio 2014, quando si insediò il governo Renzi, nel 2016 (quando Renzi cadde) i posti di lavoro passarono da 22 a 23 milioni: il mitico milione di posti di lavoro che per il citato Berlusconi rappresentò sempre un miraggio. E oggi, dopo la devastante pandemia (le guerre, la crisi energetica e i tassi alle stelle), siamo a circa 23,7 milioni. Mica male.
Il mercato azionario nell’anno 2023 è cresciuto di circa un quarto, con l’indice FTSEMib passato da 24.158 a 30.422 (+25,9%). Lo spread nell’ultimo anno è diminuito del 15% attestandosi al livello di 150, anche se intorno a metà ottobre aveva superato i 200 punti base. I Btp sono tornati ad essere, anche se di poco in termini reali, profittevoli, dopo anni in cui hanno profuso a piene mani delusioni ai sottoscrittori.
È vero che si tratta di dati che possono essere molto precari, instabili e rovesciati in poche sedute di borsa. Ma ignorarli sarebbe sbagliato. E forse è arrivato il momento di ricominciare a investire sull’Italia, magari con titoli per ora a breve scadenza o blue chips.
Cosa deve insegnarci tutto questo? Soprattutto a guardare i numeri, più che le parole, fossero anche quelle degli osservatori più autorevoli. Ma anche a valutare le cose senza pregiudizi e con onestà intellettuale.
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