IL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI
Pur con i suoi difetti e i suoi eccessi, la democrazia resta ancora il migliore dei mondi possibili
Parafrasando una celebre frase di Leibniz, filosofo tedesco del XVII secolo che sosteneva di vivere nel migliore dei mondi possibili in quanto abbiamo un giusto bilanciamento fra bene e male, potremmo dire che tutti noi occidentali siamo convinti che la democrazia sia davvero il migliore dei sistemi possibili. Nessuno di noi scambierebbe il “governo del popolo” per come lo conosciamo e lo applichiamo, pur con tutti i suoi difetti e i suoi eccessi, con l’autoritarismo oligarchico (o tirannico) che tuttavia riguarda una gran parte della popolazione mondiale, se non la maggioranza.
Del resto, una vecchia volpe della politica come Winston Churchill, affermava che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora”. Era quindi consapevole che non si trattava di un sistema perfetto, ma anche che l’uomo non aveva saputo inventarsi niente di meglio. Dai tempi di Atene, la patria della democrazia, il sistema è ovviamente molto cambiato: una cosa è una comunità ristretta, in cui l’accesso alle istituzioni è riservato a pochi eletti – tanto che sarebbe più corretto parlare di aristocrazia -, ben altra cosa uno Stato con milioni di cittadini in cui si voglia garantire a tutti il diritto di voto e di partecipazione alla vita pubblica.
Il suffragio universale, ovvero il diritto di votare ed essere eletti per tutti i maggiorenni a prescindere dal censo e dal livello di istruzione, è per noi qualcosa di irrinunciabile, anche se non da tutti compreso e apprezzato nella stessa misura. In alcuni casi, come la cronaca recente ci ha mostrato, viene valutato 50 euro o poco più, e comunque nella storia si è spesso prestato a fenomeni di corruzione e compravendita.
In effetti non basta l’esistenza formale del diritto di voto: occorre che nel concreto sia assicurata l’effettiva libertà di scelta e sia data a tutti la concreta possibilità di esprimersi. Le recenti elezioni che hanno visto trionfare di nuovo con percentuali molto vicine all’unanimità lo zar di tutte le Russie fanno sorgere ben più di una perplessità. Se si escludono dalla competizione gli oppositori, se si obbliga la popolazione a votare con la minaccia delle armi, se si lasciano le urne aperte in modo che si veda come si è votato, è poi difficile concordare con Matteo Salvini, che – riferendosi proprio alla tornata “Elettorale” russa -ha affermato: “quando un popolo si esprime ha sempre ragione”.
È certamente inaccettabile limitare il diritto di voto, ma ci si può chiedere se è giusto che un voto venduto oppure scambiato con favoritismi e clientelismo, valga come un voto dato in piena coscienza e consapevolezza. Talvolta viene il dubbio che la democrazia sia un privilegio che non ci possiamo permettere.
Invece la strada giusta è proprio quella opposta: rafforzare le istituzioni democratiche, favorire il ricambio fra maggioranza e opposizione, selezionare una classe dirigente all’altezza della situazione, per onestà e competenza. Si dice che i rappresentanti del popolo rispecchino il livello di chi li ha eletti, ma in un mondo ideale dovrebbero essere ben al di sopra della gente, e rappresentare un modello. Dovrebbero avere la capacità di aggregare consenso su quello che è giusto fare, non quella di interpretare gli umori e “la pancia” della popolazione.
La leadership politica dovrebbe proprio essere questo: non andare dietro o, peggio ancora, sollecitare gli istinti della gente, ma creare consenso e sostegno su una strategia che possa migliorare le condizioni generali ed elevare il livello della consapevolezza e della partecipazione. E soprattutto intensificare quella che gli anglosassoni chiamano “accountability”, ovvero responsabilità, obbligo di rendere conto. Questo presuppone che debba essere fatto prevalere l’interesse generale (la ricerca del bene comune) sul tornaconto particolare.
Invece molto spesso prevale il populismo e l’affarismo, tanto più dannoso quanto più lo Stato allarga il suo raggio d’azione. Uno stato invasivo, onnipresente nell’economia, non solo arbitro ma giocatore a tutto campo, offre innumerevoli opportunità clientelari per posti di lavoro, nomine nei consigli di amministrazione, forniture ed appalti e così via. Per non parlare dei potenziali conflitti di interesse, di cui anche in Italia abbiamo avuto illustri precedenti.
Non esiste una vera alternativa alla democrazia: come diceva Churchill, appunto, tutti gli altri sistemi sperimentati si sono rivelati fallimentari. Certo non l’autoritarismo, in cui il potere viene mantenuto col terrore; né l’oligarchia dove il governo è di pochi potenti, quelli che in genere detengono il potere economico e controllano; né la monarchia in cui si deve sperare che salga al trono un sovrano illuminato e il potere si tramanda per via dinastica. Ancor più pericoloso, come si vede purtroppo in molte regioni del mondo, il regime teocratico, dove al governo siedono le autorità religiose, che impongono il loro credo a tutta la popolazione.
Anche se si ha poca fiducia nel popolo, non ci sono alternative ai regimi democratici. Lo stesso Rousseau, uno dei teorici della democrazia (che nella sua visione era quella diretta, che rappresenta il modello preso a riferimento dal Movimento 5 Stelle in Italia), considerava il popolo come “plebe abbrutita che ama il pane più della libertà”; per Voltaire era “feccia” e per Montesquieu “canaglia”. Tuttavia, la Rivoluzione Francese ebbe la capacità di sovvertire un regime in cui aristocrazia e nobiltà esercitavano il potere senza limitazioni né controlli.
Oggi aristocrazia e nobiltà non rappresentano più i ceti politici e sociali dominanti, ma siamo ancora a combattere - non sempre con successo - gli eccessi di quando quelle stesse classi sociali esercitavano il potere.
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