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Mer, 09/25/2024 - 16:25
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Dove sta andando il sindacato?

.autunno caldo

Molti paventano che alla fine di questa strana estate assisteremo di nuovo a un autunno caldo, come succedeva con una certa frequenza negli anni ’70. Anche se le condizioni del sistema economico e della classe operaia di oggi non sono certo paragonabili a quelle di cinquant’anni fa, il timore è tutt’altro che ingiustificato. Dato che di sindacato non abbiamo mai parlato, è senz’altro interessante cercare di capire lo stato dell’arte, in questo che potrebbe essere uno degli ultimi articoli di questo sito.

I motivi di preoccupazione certo non mancano: intanto per quanto riguarda la sicurezza del posto di lavoro, problema che, come vedremo, è tutt’altro che scomparso nonostante che le statistiche indichino, per il nostro paese, un livello di disoccupazione molto basso. Ma anche il progressivo calo di potere d’acquisto da parte dei lavoratori, i cui salari crescono molto meno dell’inflazione in assenza di meccanismi automatici di recupero e con sempre maggiore difficoltà ad attivare rinnovi più frequenti dei contratti collettivi.

Sotto il primo profilo, iniziamo a guardare il settore metalmeccanico, quello tradizionalmente considerato la punta di diamante del sindacato e della classe operaia nel nostro paese. Il mercato dell’automotive non sta passando un bel momento, in primo luogo in Germania, dove è stato annunciato che per la prima volta nella storia la mitica Volkswagen chiuderà alcuni impianti e procederà a riduzioni di mano d’opera. Ma anche da noi le cose non vanno certo meglio, da quando Stellantis – che ha ereditato la Fiat, storico baricentro delle lotte sindacali - è diventata una multinazionale i cui mercati di espansione portano a concentrare i siti produttivi al di fuori dell’Italia. Da noi, del resto, la stessa azienda è in procinto di lanciare la commercializzazione di utilitarie prodotte in Cina da una sua consociata, che avranno il logico effetto di cannibalizzare il segmento di mercato delle piccole cilindrate, storico cavallo di battaglia della Fiat in Italia. Tutto questo, nonostante i copiosi fondi pubblici di cui l’azienda ora con sede a Londra, ma che paga le tasse in Olanda, è stata beneficiaria in passato e continua ad esserlo tuttora. Anzi, proprio grazie al sostegno del sistema nazionale – oltre che all’abilità di Sergio Marchionne, uno dei migliori leader industriali della nostra storia – la Fiat è riuscita a superare almeno un paio di momenti che, in altre circostanze, l’avrebbero portata ad uscire dal mercato.

Ma l’aspetto forse più preoccupante, in chiave “autunno caldo”, è l’altro, la perdita del potere d’acquisto: ben il 9 per cento in meno nel terzo trimestre 2023 rispetto al 2019, ovvero il calo più consistente rispetto a tutti i paesi OCSE.

.il nuovo sindacato

Il Governo è molto abile nel presentare una situazione del mercato del lavoro quasi ottimale, col minimo livello di disoccupazione da molti anni, ma ben pochi hanno notato come a questa situazione di virtuale pieno impiego non corrisponda un forte potere contrattuale da parte dei lavoratori, come ad esempio sta succedendo negli Stati Uniti, oppure anche in Germania, dove però la situazione economica è più vicina alla recessione e la forza relativa del sindacato dipende dalla scarsità della domanda più che dall’eccesso di offerta.

E la cosa strana è che, di fronte a questo evidente impoverimento, il sindacato sia sorprendentemente remissivo, se non silente. Il primo passo sarebbe quello di approfondire le cause di questa situazione anomala. Una di queste potrebbe essere l’immigrazione, che potrebbe colmare la carenza di domanda di mano d’opera senza esercitare pressione sui salari: gli immigrati potrebbero essere disponibili a lavorare con salari inferiori rispetto agli indigeni. Ma questo sconfesserebbe uno dei principali motivi di soddisfazione sbandierati dal Governo di centrodestra: il calo dei flussi migratori. E in realtà, siccome stiamo parlando di statistiche ufficiali (e non di dati reali, che comprendono anche il lavoro nero) questa spiegazione in effetti non convince.

.lavoro nero

Probabilmente c’è invece un altro fenomeno che ha qualcosa a che vedere con lo scarso grip degli operai sul mercato del lavoro: la ridotta produttività della mano d’opera nazionale rispetto ai competitor europei, che comporta una crescita molto contenuta del prodotto lordo pro-capite. E infatti ogni ora lavorata in Italia produce 55 dollari di prodotti interno lordo contro i 67 della Germania, i 68 della Francia e i 73 degli USA[1].

Del resto, anche i meccanismi della contrattazione collettiva sembrano essersi inceppati, e la cosa – sempre dal punto di vista dei lavoratori – è particolarmente penalizzante, in un clima di inflazione crescente e in assenza di meccanismi di recupero automatico del potere d’acquisto, come una volta con la famigerata scala mobile.

È come se il sindacato avesse cambiato mission: non più solo e soprattutto tutela delle condizioni (non solo economiche, ma complessive) degli operai, ma quasi-partito, movimento in grado di esercitare un forte condizionamento sulla scena politica. Del resto, con 12 milioni di iscritti, si tratta di una delle aggregazioni più numerose presenti nel nostro panorama, certamente in grado di fare la differenza in chiave elettorale.

Vero è che, rispetto ai tempi mitici degli autunni caldi, il sindacato oggi non è più solo classe operaia, ma soprattutto addetti del settore terziario e pensionati: non ci stupiremmo di vedere fra non molto Maurizio Landini fra gli scranni del Parlamento o alla guida del PD.

.gilet gialli

Ma il potere di interdizione sociale, come ci insegnano le vicende dei gilet gialli in Francia, ormai non è più nelle mani delle folle guidate dai grandi sindacati, ma di organizzazioni più spontaneistiche, pulviscolari e di protesta sociale. E ai lavoratori non resta che trattare in modo sempre più individuale con le aziende, al di fuori o ai margini dei meccanismi di contrattazione collettiva.

 

[1] Dati riportati nell’interessante articolo di Stefano Cingolani “Sindacato cercasi” sul Foglio del 31 Agosto 2024.