MILLE E NON PIÚ MILLE
La guerra in Ucraina compie mille giorni
La guerra nel cuore d’Europa, nata dalla mossa infausta dello zar di tutte le Russie di invadere l’Ucraina per riprendersela, e dalla conseguente resistenza del popolo aggredito per difendere la propria autonomia, ha ormai compiuto mille giorni e la sua soluzione sembra purtroppo ancora lontana, anche se gli osservatori più ostinatamente ottimisti intravedono qualche tenue spiraglio.
Senza dimenticare che il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha solennemente dichiarato che in 24 ore farà cessare le ostilità, per cui non resta che puntare gli orologi alla fine di gennaio del 2025; siamo generosi: dopo il giuramento che avverrà il 20 gennaio, concediamogli dieci giorni invece di uno solo per mantenere la promessa. E tenendo anche conto che l’Ucraina ha affermato che la guerra deve finire entro l’anno 2025, anche se non ha specificato come.
A parte questo (che obiettivamente non è poco), si assiste in questi giorni a una recrudescenza del conflitto sia sul campo di battaglia sia a livello diplomatico, con dichiarazioni che lasciano davvero poco spazio alla speranza.
I sudditi di Zelensky – che pare, come Netaniahu, aver dimenticato le scadenze elettorali, nella convinzione che finché dura la guerra lui resterà incollato alla poltrona – hanno festeggiato i mille giorni grazie al permesso concesso da Biden di utilizzare missili balistici terra-terra anche in territorio russo. Fino ad ora venivano consentiti solo a scopo difensivo, ma da qui in avanti anche gli Ucraini potranno portare l’attacco dal cielo in casa dei nemici invasori.
E Kiev prontamente ne ha approfittato per lanciare una bella batteria di missili ATACMS sulla regione di Briansk, circa 110 km all’interno del confine russo.
I Russi, da parte loro, hanno dichiarato che ben 5 missili su 6 sono stati intercettati e resi inoffensivi, mentre gli Ucraini hanno detto che solo 3 su 8 sono stati presi. Chissà chi ha ragione, e chissà che fine ha fatto e che danni ha provocato quell’unico missile (secondo i Russi) andato a bersaglio.
La reazione non si è fatta attendere, e si è concretizzata con un bel missile lanciato a Dniepr, la seconda città ucraina. E, sul piano “diplomatico”, il dittatore Putin è apparso in TV con aria da funerale dicendo che da qui in avanti loro si sentiranno autorizzati a lanciare testate atomiche non solo in Ucraina – cosa data per scontata – ma anche nei paesi suoi alleati, modificando conseguentemente in modo unilaterale i preesistenti accordi contro l’escalation firmati non si sa più da chi. Non solo: anche le mine antiuomo sono state sdoganate, sia pure in modalità “light” in quanto pare che potranno essere depotenziate a distanza al passare del tempo.
È ben vero che talvolta il rumore si alza quando siamo alla fine, come nel caso dei fuochi artificiali che terminano sempre con un gran finale rutilante. Speriamo davvero che anche in questo caso si tratti di una specie di “canto del cigno” della guerra, in cui si minaccia molto più per far paura al nemico che con l’intenzione di dar corso davvero alle minacce. Anche perché in questi casi generalmente non si minaccia: si fa e basta, come fanno Israeliani e Palestinesi.
A parte il non sapere effettivamente come sta andando la guerra, dato che entrambe le parti sono chiaramente inaffidabili dal punto di vista della comunicazione, probabilmente l’esito dipenderà da chi riesce a resistere più a lungo. È vero che l’Ucraina, da questo punto di vista, è sicuramente messa peggio: oltre alle migliaia di civili morti, ci sono stati circa sei milioni di rifugiati all’estero e la popolazione del paese si è ridotta di circa ¼.
Ma anche la Russia non sembra avere capacità infinita di continuare ad attaccare: magari non sarà vero che l’esercito è allo sbando, come riferiscono alcune fonti occidentali, ma non si può dubitare che si trovi in grande difficoltà a finanziare un tale sforzo immane in un momento non certo favorevole per la sua economia, con inflazione molto alta e tassi alle stelle, stretta da un embargo che solo grazie all’aiuto cinese non ha messo la grande potenza in ginocchio, specie ora che i prezzi del petrolio sono crollati. E magari anche la capacità di sopportare dei cittadini russi comincerà prima o poi a incrinarsi, memori del leggendario fiasco subito dai sovietici a suo tempo in Afghanistan.
Che poi le sanzioni abbiano danneggiato anche chi le ha imposte - e in primo luogo la Germania che è entrata in uno stato di crisi evidente e tale da far cadere anche il Governo – è sicuramente vero, e la prospettiva dei dazi trumpiani certamente non aiuta.
Ma prima o poi la guerra finirà, si tratta solo di vedere quanti morti lascerà ancora per le strade e quanti ulteriori danni provocherà. Prima di allora, si dovrà pensare alla ricostruzione che, se vincerà Putin, sarà sicuramente un suo problema, ma se vincerà la coalizione che affianca gli Ucraini non potrà essere scaricata sugli sconfitti, che già avranno come si è visto difficoltà per conto loro a ricostruire l’infrastruttura produttiva.
Intanto sembra che Biden, in articulo mortis, sia intenzionato a cancellare 46 miliardi di dollari di debito ucraino verso gli USA. Che comunque ben difficilmente in ogni caso potranno essere restituiti.
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