LA RESURREZIONE DEL BIONDO

LA RESURREZIONE DEL BIONDO

Mer, 04/16/2025 - 21:18
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La politica economica di Trump penalizza anche coloro che lo hanno votato

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La domanda della Settimana Santa è quest’anno: riuscirà il biondo Presidente USA a risorgere ancora, come ha fatto già più volte nel passato? Come diceva Rocky Balboa, uno dei più ascoltati profeti dell’epoca contemporanea, quello che conta non è vincere sempre, ma sapersi rialzare quando si va al tappeto. E la storia di Donald Trump ci insegna che il tycoon ha avuto una grande capacità, in passato, di sollevarsi dai fallimenti in cui periodicamente è incorso.

Vista la popolarità di cui gode in questo momento, e la sua incredibile capacità di catalizzare consensi nonostante le cose che dice (e che fa), pare oggi strano che Trump sia incorso in fallimenti e default nella sua attività imprenditoriale, ma così è. Bisogna dire che in America il fallimento non ha una caratterizzazione negativa e disonorevole come da noi, ma viene considerato poco più che un incidente di percorso che può capitare a chi intraprende. Non che sia desiderabile, per carità, ma nella terra del luteranesimo, chi rischia in proprio esercita una specie di servizio per gli altri, cercando di portare benessere e creare ricchezza, oltre che per sé, ovviamente, anche per gli altri (dipendenti, stakeholders, la comunità di riferimento, ecc.) con cui la sua impresa interagisce. Per questo, chi ha successo, deve poi “restituire” ciò che ha avuto dalla vita, con le diverse forme di filantropia che sono negli Stati Uniti molto più diffuse che da noi.

.fallimento

Non c’è quindi nel fallimento, in USA, il senso di colpa da espiare o di riprovazione morale che accompagna da noi i falliti, anzi, per chi riesce a riscattarsi, magari con altre iniziative, c’è il riconoscimento di quella forza di reazione invocata da Rocky.

Detto questo, il punto è che – dopo le incaute dichiarazioni sui dazi e i conseguenti primi atti esecutivi, peraltro provvisori[1] - Trump è politicamente un “morto che cammina”[2], in quanto ha ormai perso l’appoggio anche di quella parte di Americani (il suo “zoccolo duro” elettorale) che erano favorevoli alle misure annunciate. Vediamo perché.

A grandi linee, possiamo affermare che esistono almeno due Americhe: una, quella che ha votato Trump e che si riconosce nelle sue politiche, è stata pesantemente danneggiata dalla globalizzazione e dall’apertura dei mercati, che ha causato il deficit commerciale USA e la pesante concorrenza dei prodotti cinesi. È l’America che si indebita per tutto, e che ha sofferto gli alti tassi di interesse degli ultimi due anni, che hanno fatto lievitare il costo dei mutui e dei prestiti per l’auto e per ogni bene di consumo durevole. Per questa America, l’apertura delle frontiere commerciali ha spesso rappresentato la minaccia diretta al posto di lavoro, e la conseguenza diretta del deficit commerciale sono stati tassi sempre più alti, necessari ad attrarre i capitali che finanziassero il crescente debito pubblico con l’acquisto dei Treasury Bonds, e un dollaro sempre più debole, che rendeva ancora più costose le importazioni di quei beni e servizi che ormai avevano sostituito quelli nazionali. A questa America non interessano i crolli di Wall Street, in quanto non ha denari da investire in borsa, ma serve molto la riduzione dei tassi degli ultimi mesi, di cui erroneamente essa attribuisce il merito a Trump.

.crollo

E poi c’è l’altra America, i 160 milioni di persone (oltre il 60% della popolazione) che detengono il 90% delle azioni quotate a Wall Street, direttamente nei loro portafogli o indirettamente attraverso fondi pensione e fondi di investimento. Per questa America la tempesta dei mercati finanziari provocata da Trump è stata un vero e proprio disastro. Questa America in genere non vota, ma di sicuro non ha votato (ne voterebbe oggi) per the Donald. E certamente questa America sarà portata a consumare di meno, innescando la temuta recessione che renderà ancora più difficili le condizioni della prima America. E, come tutti gli economisti ben sanno, ben presto le misure protezionistiche (se effettivamente applicate) porteranno nuovo aumento dell’inflazione e nuovo rialzo dei tassi di interesse[3], rendendo ancora più complicata la vita alla prima America filo-trumpiana.

Non solo: la guerra alla Cina causerà l’interruzione, da parte del Celeste Impero, dell’acquisto dei titoli di Stato USA, rendendo davvero difficile il finanziamento del crescente debito pubblico. E con questo il cerchio si chiude, e Trump diventerà davvero il nemico di tutti, un vero e proprio “morto che cammina”, come dice Fubini.

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Per questo, il biondo tycoon ha dovuto fare una precipitosa marcia indietro sospendendo le misure protezionistiche già annunciate, e facendo sperare – come ha detto il Segretario del Dipartimento del Tesoro Scott Bessent – che in realtà si tratti solo di strategia negoziale e non di politica economica reale.

Riuscirà Donald Trump a risorgere ancora, come ha più volte dimostrato di saper fare in passato? Ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

[1] Va infatti ricordato che il Presidente negli USA non ha normalmente la potestà legislativa, che spetta al Congresso, ma per prerogativa costituzionale può adottare provvedimenti di legge nel caso in cui sia in pericolo l’integrità e incolumità dello Stato, provvedimenti che dovranno poi essere ratificati dal Congresso pena la decadenza. Vero è che il partito di Trump nell’attualità controlla il Congresso, ma molti degli eletti stanno già prendendo le distanze dagli atti di Trump.

[2] Come lo ha definito con sagacia Federico Fubini nell’articolo “Americhe – Whatever it takes” nel Corriere della sera dell’8/4/2025, articolo da cui sono tratte diverse considerazioni di questo editoriale

[3] Dell’effetto delle misure trumpiane sull’economia abbiamo già parlato diffusamente nel nostro editoriale del 19/3/2025 (cfr. https://www.marcoparlangeli.com/2025/03/19/da-euforia-a-depressione-e-un-attimo )