Pillole di Finanza: e le valute?
Cerchiamo di fare un passo in avanti rispetto all’impostazione di base di un buon portafoglio di investimento: valutiamo se può convenire, o almeno avere un senso, impiegare parte delle proprie risorse in valuta estera.
Ai tempi della lira, tipica valuta debole, era pressoché indispensabile – al fine di difendere il valore del portafoglio – tenere investita una parte delle proprie disponibilità in valute forti, in primo luogo il dollaro USA, ma anche franco svizzero, marco tedesco, sterlina inglese. La lira era infatti periodicamente soggetta a svalutazioni anche consistenti, per effetto proprio della sua debolezza. La svalutazione era vista con estremo favore da parte delle imprese esportatrici, in quanto i prezzi di beni e servizi prodotti in Italia potevano essere venduti all’estero a prezzi più bassi in termini di valuta locale.
Dal punto di vista della ricchezza, però, tutti i beni e gli asset patrimoniali espressi in lire, ogni volta che questa veniva svalutata, vedevano ridursi il loro valore espresso in valuta forte. A prima vista, per chi svolge un’attività nella sola valuta di riferimento, questo effetto potrebbe sembrare irrilevante, ma non è così.
A lungo andare, un patrimonio espresso totalmente in una divisa (termine sinonimo di “valuta”) che si svaluta in modo sistematico, tende inevitabilmente a depauperarsi. Il paese si impoverisce e diventa più facilmente “acquistabile” da chi detiene valute forti. Proprio per mantenere il valore dei propri beni, chi al tempo della lira non aveva fiducia nello stato e nell’assetto istituzionale italiano, li trasformava in valuta forte (ad esempio dollari o franchi svizzeri) oppure in beni rifugio (ad esempio oro, il cui valore in lire infatti cresceva nel tempo).
Oggi l’Euro ha superato questi problemi, annoverandosi di diritto fra le valute forti. Se guardiamo infatti al valore di un Euro in termini di dollari o di oro, notiamo che nei sedici anni di vigenza della moneta unica grandi variazioni monodirezionali non ci sono state. Il cambio col dollaro e la quotazione dell’oro sono infatti soggetti a oscillazioni, anche importanti, ma queste oscillazioni non vanno in un’unica direzione: talvolta l’Euro si deprezza, ma altre volte il suo valore aumenta.
E già questo, in termini di mantenimento del valore del portafoglio, rende meno pressante la necessità di diversificare il patrimonio con impieghi in valuta rappresentando così una delle principali ragioni che mi portano a ritenere che un’eventuale uscita dall’Euro per l’Italia sarebbe un disastro.
Bisogna poi distinguere fra chi per la propria attività lavorativa e personale è totalmente euro-based, ovvero ha solo flussi in Euro, sia in entrata che in uscita, e chi invece riceve o deve fare pagamenti anche in altre valute: ad esempio chi importa o commercia comunque con l’estero (qui inteso extra UE), chi ha beni o persone importanti all’estero. Potrebbe essere il caso, ad esempio, di chi ha acquistato una casa a Miami oppure a Cape Town, di chi ha figli che studiano in USA, di chi viaggia sistematicamente in Asia o Africa. In questi ultimi casi tenere una parte di risorse investite in valuta diversa dall’Euro è senz’altro utile, magari sotto semplice forma di conto corrente valutario che consente di risparmiare i costi di conversione.
La mia opinione è però che anche chi non ha o non prevede di avere flussi in valuta, dovrebbe valutare di impiegare una parte del proprio portafoglio (mai superiore al 20%) in altre valute sia per esigenze difensive che per sfruttare buone opportunità di guadagno.
In particolare le esigenze difensive sono evidenti laddove, impiegando in valute forti (dollaro, franco svizzero, ecc,) ci si cautela contro un difficile ma non impossibile deprezzamento dell’Euro.
Ma l’investimento in divisa, ad esempio in forma di obbligazioni, può anche consentire di impiegare a tassi di interesse più alti, qualora i tassi di quelle divise siano superiori ai tassi Euro, come accade per il dollaro. Infatti ciascuna divisa ha propri tassi di interesse, in quanto dà vita ad un mercato finanziario diverso.
E soprattutto potrebbe darci qualche soddisfazione se quella valuta si apprezza, anche solo temporaneamente, rispetto all’Euro. Ad esempio, chi avesse seguito la nostra indicazione di maggio dell’anno scorso di acquistare rubli in previsione di un aumento del prezzo di petrolio, investendo 100 €, avrebbe ottenuto 7.500 Rubli circa, essendo all’epoca il cambio del rublo 75. Quei 7.500 Rubli varrebbero oggi 123 €, quindi in meno di un anno avremmo guadagnato il 23%, certamente un risultato non disprezzabile.
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