Virus al maschile e al femminile
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Pubblichiamo questa settimana il contributo di un giovane e valente studioso sugli effetti della pandemia a livello demografico.
Più volte in passato abbiamo cercato di esaminare i diversi aspetti di cui ci siamo occupati anche dal punto di vista demografico, un’angolazione decisiva per capire come si evolvono i sistemi economici in relazione alle dinamiche della popolazione.
Questa settimana parliamo del virus, e non poteva essere diversamente.
Il COVID-19 ha avuto un impatto dirompente sia a livello globale che, soprattutto, in Italia. Gli effetti di questo virus non si placheranno al termine della fase 1, ma sono destinati a continuare per lungo tempo, lasciando un segno profondo sia a livello sociale che economico. Anche gli aspetti demografici del virus non devono essere sottovalutati, poiché l’effetto che ha avuto sulle classi di età avanzata porterà modifiche non indifferenti nella composizione della popolazione e, quindi, in quella che gli esperti chiamano “piramide dell’età”, facendo sì che i governi adottino nuove politiche demografiche.
Torneremo ovviamente sull’argomento pandemia con una miniserie che ne esaminerà anche gli altri aspetti: da quello più prettamente economico a quello socio-politico, dai megatrends nel mercato del lavoro a quelli della politica, della democrazia e della comunicazione.
L’unico aspetto che non tratteremo sarà quello medico, perché in queste settimane ne siamo letteralmente sommersi.
Buona lettura, dunque.
Il COVID-19, più noto alla cronaca con l’appellativo di Corona virus, ormai da alcuni mesi sta colpendo profondamente il nostro Paese. Ciò modificherà il sistema sanitario ed economico italiano, e certamente avrà anche non risibili ricadute in campo demografico. Infatti, se epidemiologia e demografia sono materia tra loro affini e con correlazioni evidenti, è necessario capire come la popolazione italiana abbia modificato la propria fisionomia, come il virus stia colpendo in modo diverso le classi di età e i sessi e come ciò influirà sulle scelte di politica demografica di breve-medio termine.
Come è ovvio, ancora non esiste una vera letteratura scientifica su questa nuova malattia, pertanto non è semplice dare una valutazione organica e strutturale, ma prendendo in esame i dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) è possibile costruire un primo modello di studio e tentare così di avere una panoramica generale.
Ormai è noto che il Corona virus si sia diffuso prevalentemente nelle regioni del nord, con la Lombardia che da sola raggiunge quasi il 60% dei morti, con circa 12000 vittime su 23000; se ai numeri lombardi si sommano quelli di Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte si arriva all’85% dei morti sul totale italiano. Tale fattore sarà naturalmente rilevante per la struttura della popolazione di queste regioni; in particolare il profilo demografico dei piccoli comuni della bergamasca, epicentro del contagio, subirà profonde modificazioni.
Regione | Numero decessi | percentuale |
Lombardia | 11384 | 56,9 |
Emilia-Romagna | 2775 | 13,9 |
Piemonte | 1523 | 7,6 |
Veneto | 982 | 4,9 |
Italia | 19996 | 100 |
I dati dell’ISS sono calcolati al 16 aprile
Approfondendo l’osservazione sui dati statistici maggiormente attinenti alla demografia, si evince che l’età media dei deceduti è di 79 anni e che i deceduti sono in prevalenza maschi. Infatti, se gli infetti sono quasi in egual numero tra maschi e femmine, con circa 80000 casi per sesso, i morti di sesso maschile sono oltre 13000 mentre le donne solamente 7000, con un tasso di letalità che per i primi si attesta intorno al 16,4% e 8,7% per le seconde.
Analizzando le classi di età, ogni classe vede sempre maggiore mortalità maschile che femminile e una letalità che per i maschi raggiunge la vetta del 40% tra gli 80 egli 89 anni, mentre per le donne arriva al 21%, sempre nella stessa classe. Se la letalità oltre gli 80 anni raggiunge le più alte percentuali, suscitano interesse i dati riguardanti la classe 70-79 in cui i morti sono quasi 5000 maschi e meno di 2000 donne, cioè 70% uomini e 30% donne. La letalità maschile si ferma al 30%, essendo il numero di contagiati 15000, e quella femminile al 16%. Tali numeri non sono però esaurienti per comprendere l’incidenza della malattia ed è necessario confrontarli con la struttura della popolazione. Tra i 70 e i 79 anni la popolazione femminile supera del 15% quella maschile, quindi una popolazione di circa 500.000 unità in più, ma nonostante ciò il genere maschile è quello più colpito, con 1,8‰ individui deceduti e le donne si fermano allo 0,9‰.
Ulteriore attenzione la richiedono la classe 50-59 e quella 90+. Nella prima classe, pur rappresentando in termini assoluti un’età fortunatamente non molto colpita, è d’uopo evidenziare come in percentuale sia raggiunto il picco del differenziale tra uomini e donne: infatti su 756 decessi 606 sono maschi, cioè l’80%. Tale dato, seppur non troppo significativo per il numero di vittime, certamente ci pone davanti ad un quesito di non facile soluzione, che forse può trovare risposta solo dallo studio delle cartelle cliniche pregresse di ogni singolo individuo, escludendo così tesi di tipo epidemiologico, rimanendo il numero di morti contenuto.
Un’altra domanda, ma di senso opposta, la pone la classe degli over 90, l’unica classe che rileva un maggiore numero di donne decedute rispetto agli uomini: 1483 donne e 972 uomini, rispettivamente il 60% e 40% del totale. Ovviamente anche questi dati richiedono maggiore approfondimento, ma forse estrapolare un’ipotesi è più semplice rispetto al caso precedente. Infatti la popolazione ultranovantenne è composta da 231.850 uomini e 591.348 donne, quindi le donne rappresentano più del doppio della popolazione e ciò viene rispettato anche a livello di contagi (2470 a 7333). Pertanto, il maggior numero di decessi femminili è quasi certamente dovuto solamente alla sproporzionalità della classe di età, poiché la stessa letalità rimane più alta per gli uomini (39%) che per le donne (20%).
L’analisi appena condotta sui report dell’ISS non è certamente uno studio esaustivo delle problematiche correlata alla diffusione del COVID-19, ma vuole essere un semplice ma dettagliato spunto per avviare una riflessione più profonda che non riguardi unicamente il caso Italiano, ma possa fungere da pungolo per allargare l’osservazione a livello internazionale e comprendere quale saranno le ripercussioni e le varie risposte economiche, sociali e demografiche che i governi sceglieranno di adottare, se proseguiranno con le privatizzazioni o se il sistema pubblico tornerà protagonista.
(*) Bruno Borri, 26 anni, da sempre interessato a sviluppare tematiche di carattere storico-sociale, si è laureato a pieni voti in Scienze internazionali e diplomatiche presso l’Università di Siena con una tesi sulle società di mutuo soccorso e i movimenti operai di fine ‘800. Ha perfezionato gli studi con un master in Mutualità e Sanità integrativa, approfondendo gli aspetti di carattere demografico legati alla sanità e alla medicina di genere.
Nella sua vita non esistono però solo la storia e la demografia, ha una passione viscerale per il basket e i romanzi di Saramago.
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