Banco vince, banco perde. L’ABC dell’economia e della finanza

Banco vince, banco perde. L’ABC dell’economia e della finanza

Mar, 06/02/2020 - 18:23
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La banca tradizionale che abbiamo conosciuto fino alla fine del secolo scorso non ha più futuro

Roulette

 

Abbiamo visto, in uno dei precedenti articoli della mini-serie sul dopo-virus, quale potrebbe essere l’evoluzione futura del sistema bancario nel mondo che sopravviverà al Covid-19.

Cogliamo anche l’occasione per parlare dei fondamentali del credito, a conclusione del ciclo di articoli sull’ “ABC dell’economia e della finanza”, pubblicati nel tempo sul blog e che formeranno l’intelaiatura di un’autonoma pubblicazione nei prossimi mesi. Il sistema creditizio rappresenta infatti, come vedremo, un pilastro fondamentale dell’economia di mercato, quello che fornisce al motore della macchina la benzina necessaria per muoversi.

Per una volta, partiamo allora dalla fine, o meglio dal futuro delle banche dopo la pandemia. Come in altri settori (ad esempio l’immobiliare, come abbiamo visto nell’articolo del 12/5/2020 di Pietro Mele),  il corona-virus non è arrivato in una tabula rasa, ma ha trovato una situazione economica in piena evoluzione per ragioni autonome.

Abbiamo parlato spesso delle banche e del loro futuro, sia sul blog che in altri contesti – radio-tv, periodici, siti web -, e la nostra tesi, in estrema sintesi, è che la banca tradizionale che abbiamo conosciuto fino alla fine del secolo scorso non ha più futuro. Il modello di business basato sulla filiale imponente, sul rapporto personale, sulla figura del direttore autorevole e paterno, sulle file alla cassa, sui pacchi di cambiali a fine mese ha fatto il suo tempo.

Le filiali oggi sono sconsolatamente vuote, grandi cattedrali nei centri cittadini alla ricerca di riconversione in altri utilizzi. Il cliente medio ormai non va più fisicamente in banca, spesso non sa neanche dove abbia il conto, più spesso ancora ha solo un conto online.

Resiste ancora, e probabilmente resisterà anche nel prossimo futuro, la piccola banca locale che intercetta clientela retail (il piccolo risparmiatore, il commerciante, l’artigiano, l’agricoltore) che per tradizione e consuetudine è affezionato al suo istituto, conosce i dipendenti, si fida di loro ed è disposto a pagare in termini di maggiori commissioni e costi pur di avere il piacere di entrare in una filiale, essere riconosciuto e seguito, avere familiarità.

Stiamo parlando delle banche cooperative, delle ex casse rurali, dei piccoli istituti monofiliali o comunque di dimensioni limitate, che fanno del rapporto personale il punto di forza.

Ma al di là di questa “nicchia” di mercato, la vera intermediazione creditizia di sistema, ormai totalmente dematerializzata e spersonalizzata, sarà di esclusiva pertinenza delle banche di grande dimensione, a livello quanto meno europeo (in Italia ce ne sono due), fortemente capitalizzate e che hanno risorse per praticare costi dei servizi molto bassi, per effetto delle economia di scala, e finanziare gli investimenti necessari per mantenere e sviluppare tecnologia e sistemi.

Nel mezzo fra le due tipologie, il vuoto pressoché assoluto. Le banche di media dimensione sono da tempo scomparse (o in via di scomparsa) dal panorama competitivo, assorbite da quelle più grandi oppure in grande difficoltà.

In questo contesto, il virus non ha prodotto grandi cambiamenti, se non quello di rendere ancora più difficile l’accesso del pubblico, e quindi scoraggiare ulteriormente il ricorso alla filiale, richiedendo costi di adeguamento e procedure più lente. Per tutti gli altri utenti, che già da tempo non frequentano più i locali delle banche, nulla cambierà, salvo la tipologia dei loro investimenti e la situazione dei settori economici in cui operano, aspetti già esaminati in un precedente articolo di questa serie.

Il virus che colpirà le banche sarà invece quello che attaccherà la qualità del credito. Ci saranno conseguenze significative, e di segno negativo, sugli impieghi degli istituti, ovvero sui prestiti alle imprese, in relazione alla crisi economica che la pandemia sta già producendo, con molte aziende destinate a sparire dal mercato. Aumenteranno i crediti in sofferenza, e peggiorerà quindi la qualità dei portafogli, rendendo necessarie – per le banche meno capitalizzate – robuste iniezioni di capitale, che approfondiranno ancora il baratro fra grandi e grandissime  banche da un lato, e piccole realtà locali dall’altro.

Continuerà anche l’irreversibile processo del dimagrimento degli organici, ormai da anni intrapreso, che ha visto l’uscita dal mercato del lavoro di circa un quarto degli occupati negli ultimi 20 anni. Ma si tratta di un’evoluzione del tutto autonoma dal virus, connessa al cambiamento di modello di business sopra descritto, e che anzi proprio dalla pandemia prenderà nuova forza e vigore.

Il tempo dei grandi profitti per la banca tradizionale è ormai un ricordo; come pure la possibilità di speculare sulla scarsa conoscenza di attività e strumenti da parte della clientela e sulla loro resistenza al cambiamento imponendo alte commissioni e interessi  penalizzanti.

Anche la consulenza dovrà cambiare tenore ed essere più vicina ai clienti investitori che non a chi produce e vende gli strumenti. I risparmiatori saranno portati ad accettare sempre meno le elevate commissioni addebitate da gestori spesso inefficienti, da pagare anche con rendimenti negativi, e ad apprezzare sempre di più la vera consulenza professionale e indipendente, che guadagna solo se anche il cliente guadagna. Se le banche sapranno sintonizzarsi su questa frequenza, e rinunciare a rendite di posizione che ancora resistono, avranno nuove opportunità di mercato e la possibilità di acquisire nuova e fidelizzata clientela.

Alla fine, il sistema bancario non verrà strutturalmente modificato dalla pandemia, ma continuerà ad evolversi secondo linee che erano già chiare ed autonomamente impostate, ma tutto questo il virus non lo sa…