MEDITERRANEO, “MARE SECONDARIUM”

MEDITERRANEO, “MARE SECONDARIUM”

Mar, 09/01/2020 - 16:41
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Nel vuoto lasciato dagli USA si sono insediate in modo stabile e preoccupante Russia e Turchia.

Riprendiamo con questo articolo la pubblicazione di contributi sui diversi temi di cui il sito si occupa, da parte di studiosi ed esperti della materia.
Si parla di politica internazionale, un argomento relegato alle pagine interne dei giornali eppure di formidabile importanza per il nostro presente e, ancor più, per il nostro futuro: la situazione del Mediterraneo, dove si sta consumando la deriva di una delle basi dell’Europa unita, ovvero la solidarietà e la condivisione delle situazioni critiche.
In particolare dalla Libia – su cui Filippo focalizzerà l’analisi la prossima settimana – nascono molti dei problemi che oggi ci roviamo ad affrontare: terrorismo, immigrazione, rischio di ripresa della pandemia, sviluppo economico e attività delle nostre imprese all’estero.
Un tema da non sottovalutare assolutamente.

Buona lettura, dunque.

 

È arrivato il momento di prenderne atto. Il nostro amato “Mare Nostrum”, oltre a non essere più “nostro” da un bel pezzo in quanto Italiani, è diventato a tutti gli effetti un “Mare Secondarium”. Alla luce dei recenti avvenimenti internazionali, infatti, il mar Mediterraneo ha perso in maniera evidente la centralità che aveva sempre contraddistinto questo grande lago salato. Nei secoli passati, ed in misura minore ancora fino a pochi decenni fa, il “mare di mezzo” era il centro dei traffici marittimi e commerciali di nazioni, popoli e civiltà importantissime. Situato ad una latitudine geografica oltremodo strategica, ovvero alla confluenza di ben tre continenti, per molto tempo il Mediterraneo è stato un crocevia rilevantissimo di rotte e scambi tra innumerevoli soggetti. Tuttavia, oggi la situazione risulta essere notevolmente cambiata.

Mappa antica del Mediterraneo

Numerosi sono gli elementi a sostegno della tesi di un Mediterraneo dalla ridotta portata geopolitica. Innanzitutto, la graduale ma progressiva riduzione dell’interesse statunitense. Da anni ormai Washington ha deliberatamente posto in secondo piano la gestione “imperiale” di questo mare a noi tanto caro. A tal proposito, che non si venga tratti in inganno da retoriche pro-occidentali; gli Stati Uniti sono un impero a tutti gli effetti, con più di 730 basi militari sparse in tutto il mondo e con ben sette flotte a controllare gli spostamenti marittimi nei corsi d’acqua salata più “caldi” del globo. Rebus sic stantibus, per i vertici militari USA il Mediterraneo non è altro che un terreno di scontro come tanti altri. A testimonianza di ciò, fin dal secondo mandato di Barack Obama (iniziato nel gennaio 2012), la presenza americana nei nostri lidi ha iniziato a ridursi progressivamente. Ben altri sono infatti gli scenari geopolitici marittimi che interessano ad un impero in costante timore di essere scalzato da attori emergenti. In questi riguardi, contestualmente al graduale disimpegno americano nel “mare di mezzo” si è assistito ad un significativo aumento delle attività navali nel Mar Cinese Meridionale (MCM), percepito da Washington come vero terreno di scontro nei confronti di una Cina sempre meno contenibile.

Gli Stati Uniti ritengono che Pechino consideri il MCM come proprio “impero marittimo”, ovvero una sorta di punto di partenza per una strategia di controllo navale in grado di danneggiare nel lungo periodo gli interessi geopolitici statunitensi. Nello specifico, l'oggetto del contendere è la miriade di scogli disabitati o emergenti a bassa marea delle formazioni insulari come le Spratly e le Paracels, di cui Pechino pretende il possesso. Oltre a ciò, si tenga a mente la tensione perenne tra Cina e Taiwan; il contenzioso tra il grande impero del centro e la propria provincia insulare ribelle interessa molto gli Americani, i quali hanno siglato nel corso dell’ultimo ventennio numerosi accordi diplomatici e militari con Taipei per suggellare una solida partnership in chiave anti cinese.

chiesa del Salvatore sul Sangue Versato - Храм Спаса на Крови - San Pietroburgo, Russia,

Non stupisca dunque il disinteresse di Washington per il Mediterraneo, area geografica giudicata non fondamentale nella partita che veramente interessa la superpotenza: il contenimento della Cina at all costs. Indubbiamente, ciò ha favorito l’ascesa di Russia e Turchia, attori che solo fino a pochi anni fa si guardavano bene dal creare guazzabugli caotici in giro per il fu Mare Nostrum. L’attivismo di queste due “democrazie illiberali” nella parte orientale e meridionale[1] del “mare di mezzo” ha destato una moderata preoccupazione nei dossier americani. Sia Mosca che Ankara, infatti, sono alle prese con un’economia contratta da anni, affetta da cronici problemi inflazionistici (soprattutto quella turca) e da una limitata capacità produttiva-industriale (nello specifico, quella russa). Per avere un’idea, si tenga presente che il PIL della Russia non supera quello della Spagna, Paese certamente sviluppato e performante ma che non è situato ai primi posti a livello mondiale. Idem dicasi per la Turchia, alle prese con una ormai semi perenne crisi della propria moneta a causa delle recenti politiche economiche adottate da Erdogan. In sostanza, dunque, l’attivismo russo e turco nel Mediterraneo non impensieriscono più di tanto gli Statunitensi, i quali hanno al momento ben altre crisi da risolvere, sia sul fronte interno che estero.

Secondariamente, oltre al disinteresse americano è d’obbligo registrare una limitata considerazione delle questioni mediterranee anche in sede europea. Per molto tempo a Bruxelles i dossier più importanti hanno avuto a che fare con il contrasto alla crisi economica, la nascita del populismo, la Brexit e la crisi migratoria[2]. Solo in via marginale e per poco tempo infatti il Mediterraneo è assurto a tema centrale. E non potrebbe essere altrimenti. Un’Europa a trazione nordico-teutonica non ha particolari interessi nelle questioni che riguardano il nostro mare. Quest’ultimo a Berlino, a Bruxelles e per certi aspetti anche a Parigi viene visto più come una scocciatura che una opportunità. Inoltre, i Paesi europei rivieraschi scontano performance economiche scarse da un po’ di tempo a questa parte: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia nei palazzi del potere europeo vengono visti come un’accozzaglia male assortita di clientelismo politico, con alti livelli di corruzione e deficit burocratici che paralizzano le attività di governo.

L’Italia, in conclusione, è spesso rimasta sola a gestire ingenti flussi migratori provenienti dal Mediterraneo meridionale. La perdita di influenza economica del nostro Paese (non molto tempo fa Roma era la quinta potenza industriale del mondo) ha reso marginali le nostre crisi, soprattutto in un’Europa dove le nazioni finanziariamente più rilevanti non sono mediterranee. Oggi, con una situazione sanitaria complessa a causa del Covid 19, la regolazione dei flussi migratori andrebbe gestita a livello macro-politico, con strategie di lunga durata in grado di coinvolgere più nazioni possibile. Tuttavia, si profila all’orizzonte l’ennesima gestione emergenziale e non sistematica di una crisi ormai decennale. La perdita di importanza del Mediterraneo nei dossier internazionali ed europei riflette mestamente la nostra scarsa rilevanza geopolitica. Un’Italia debole equivale ad un Mare non “Nostrum”, semplicemente “Secondarium”.


[1]  La Russia è intervenuta pesantemente in Siria a sostegno di Bashar al – Assad mentre la Turchia, recentemente, ha aumentato la propria presenza in Libia. Inoltre, proprio in queste settimane, Ankara ha assunto un atteggiamento molto aggressivo nei confronti della Grecia per via di dispute su confini marittimi contesi.

[2]  Crisi migratoria nel suo complesso, dunque con un focus necessario sul Mediterraneo ma anche su altri fronti, su tutti la rotta balcanica e gli accordi con la Turchia per limitare le partenze.

 

Filippo Verre è Dottorando di ricerca in Geopolitica presso l’Università di Pisa e Cultore della materia in Demografia Storica delle Società Africane presso il DISPI (Dipartimento di Scienze Politiche Internazionali) dell’Università degli Studi di Siena. Laureato in Giurisprudenza (2015) e in Scienze Politiche (2017) con indirizzo diplomatico, ha perfezionato gli studi post- universitari a Oxford, dove ha conseguito un Master of Arts (MA) in Studi internazionali – Relazioni internazionali presso la Oxford Brookes University, e a Roma, presso la SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale), dove ha completato un Master in Studi Diplomatici ed Economici. I suoi principali interessi di ricerca sono relativi alla storia politica dell’Asia, all’analisi dei conflitti idrici e alla geopolitica dei Paesi dell’area sub-sahariana.