PICCOLO È BELLO, GRANDE ANCORA MEGLIO
La crisi energetica ripropone il problema delle dimensioni aziendali, mettendo in difficoltà le piccole e medie imprese
L’attuale impennata dei costi energetici, che generalmente (anche se non sempre) fanno parte dei costi fissi, ripropone con drammatica attualità il problema delle dimensioni aziendali, di cui ci eravamo occupati un paio di anni fa[1]. Le conclusioni a cui eravamo giunti allora, a grandi linee, restano valide ancora oggi, ma la forte crescita dell’inflazione e la crisi energetica degli ultimi tempi hanno reso il sistema molto più vulnerabile.
Avevamo visto come le piccole e medie aziende (PMI), che costituiscono il tessuto connettivo del complesso industriale del nostro Paese, hanno maggior capacità di resistere alle intemperie e ai colpi delle crisi di mercato in virtù della loro maggiore flessibilità e adattabilità. Avevamo, però, anche evidenziato che solo dimensioni maggiori consentono l’accesso a economie di scala, in quanto possono ripartire i costi fissi su una maggiore quantità di prodotti venduti.
In particolare, le PMI hanno generalmente una struttura di costi in cui prevalgono quelli variabili, cioè che crescono al crescere dei livelli di produzione e vendita. Quando il mercato flette, in genere questa tipologia di imprese semplicemente riduce i livelli di attività, acquistando meno materie prime, riducendo il personale occupato, contenendo i costi di vendita e marketing. Così facendo riduce i costi e molto spesso riesce a scaricare il peso delle difficoltà su chi sta a monte della filiera produttiva, tipicamente il personale, i fornitori, i terzisti.
In questo schema, che ha grosso modo funzionato egregiamente dal secondo dopoguerra fino a pochi anni fa, esiste però qualche importante punto di rottura: in primo luogo la fragilità finanziaria, che manda in crisi le aziende poco capitalizzate quando i tassi di interesse aumentano. In secondo luogo, improvvisi peggioramenti dell’ambiente economico e del contesto normativo, ai quali la piccola impresa non ha la forza di resistere. Fra questi possiamo includere l’impennata dei costi energetici di cui si parlava all’inizio.
La bolletta di luce e gas che serve per tenere aperta, sia pure a basso regime, l’attività aziendale è in questi mesi triplicata o quadruplicata e l’alternativa che si prospetta per molte aziende è quella di aumentare i prezzi in modo esorbitante andando fuori mercato, oppure ridurre drasticamente i margini di redditività fino a dover vendere sotto costo.
Una grande azienda, potendo spalmare i più elevati costi fissi su una quantità molto maggiore di prodotti, potrà invece permettersi di contenere gli aumenti dei listini in una misura più accettabile per i clienti. E comunque, avendo un maggior potere di mercato grazie alle sue dimensioni, avrà una migliore capacità di imporre i suoi prezzi rispetto a un piccolo produttore.
Ecco perché si apre, in questo periodo, una prospettiva concreta per aggregazioni, fusioni, incorporazioni: le piccole e medie imprese diventano target per quelle maggiori, le quali possono avvantaggiarsi delle difficoltà portate dalla dimensione (ma anche dalla fragilità economica dato che i tassi di interesse stanno aumentando molto rapidamente) e mettere in piedi una efficace strategia di merger & acquisition (M&A).
Questo tipo di attività, che aveva avuto un periodo di relativa stasi durante la grande crisi del 2007/2008 e che ha ricominciato a decollare dopo la pandemia, potrebbe ora conoscere una nuova stagione di grande frenesia. Non è difficile prevedere che le banche d’investimento e i fondi di private equity si apprestino a incrementare di molto i loro volumi d’affari e i loro profitti nei prossimi mesi.
Vediamo in cosa consiste questa attività, di cui sentiremo parlare di nuovo molto presto.
Le aziende possono infatti crescere per via interna (standing alone) oppure per via esterna, attraverso acquisizioni e integrazioni. Nel primo caso lo sviluppo avviene con la crescita continua di fatturato e di vendite, con l’aumento dei volumi prodotti attraverso investimenti che adeguino la capacità produttiva alle potenzialità di mercato e, quindi, con nuovi stabilimenti, impianti, dipendenti e così via. Questa crescita può essere autofinanziata (attraverso il cash-flow delle vendite) oppure finanziata con aumenti di capitale da parte dei soci esistenti, attraendo nuovi soci (ad esempio con la quotazione in borsa) oppure ricorrendo al debito. In tutti questi casi, si tratta in genere di un percorso lento e irto di difficoltà e imprevisti.
La seconda modalità è invece quella dell’acquisizione di un’altra azienda, che possa essere integrata orizzontalmente – andando così a occupare un mercato nel quale non si era presenti – oppure verticalmente – portando all’interno una fase produttiva che prima era svolta da soggetti terzi -. In entrambi casi si punterà a realizzare le cosiddette sinergie: nel primo caso saranno sinergie di ricavo, ovvero aumenti di ricavi maggiori delle risorse impiegate; nel secondo caso sinergie di costi, cioè risparmi nel processo produttivo. Se le sinergie sono positive, l’operazione di M&A produrrà comunque un aumento del valore per gli azionisti e darà luogo ad una nuova impresa più grande, e in prospettiva più redditizia.
Dal punto di vista dell’azienda acquisita, i soci potranno far emergere a questo punto il valore creato nel tempo, che sarà dato dalla differenza fra la valutazione effettuata dall’acquirente e il totale delle risorse impiegate nel tempo per costituire e rafforzare l’impresa stessa. La contropartita è la cessione in tutto o in parte delle quote o delle azioni, e quindi del controllo.
L’operazione può infatti essere effettuata in contanti e, a questo punto, i vecchi soci passano dalla cassa, monetizzano il loro investimento e si ritirano. Oppure può essere fatta attraverso uno scambio tra azioni della società acquisita e azioni di quella acquirente o risultante dalla fusione (carta contro carta). In quest’ultimo caso i vecchi soci resteranno nel business, ma non eserciteranno più il controllo sulla gestione, che resterà nelle mani del soggetto economico acquirente.
Come si vede, si tratta di operazioni complesse, che costituiscono l’anima e il senso dei sistemi capitalistici. Approfondiremo in un prossimo articolo cosa succede in questi casi.
[1] Si vedano gli editoriali “La strada per Lilliput” del 18/8/2020 (https://www.marcoparlangeli.com/2020/08/18/la-strada-per-lilliput) e “La rana e il bue” del 25/8/2022 (https://www.marcoparlangeli.com/2020/08/25/la-rana-e-il-bue).
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