È L’ORA DELL’ORO
Il prezzo dell’oro in questi mesi è aumentato molto, e ha ancora spazio per crescere
È già qualche mese che abbiamo espresso il nostro favorevole orientamento nei confronti dell’oro, il cui prezzo in effetti sta crescendo – quasi senza interruzioni – da circa sei mesi, con una vera e propria impennata nell’ultimo mese. Non che questa sia una novità, ovviamente, nella lunga e gloriosa storia del metallo giallo. La particolarità è però il fatto che questo aumento ha avuto luogo proprio mentre i tassi di interesse stavano raggiungendo il loro livello più alto degli ultimi anni, al culmine di una corsa innescata dalle banche centrali per contrastare l’inflazione.
È noto, infatti, che in genere i due indicatori, prezzo dell’oro (in dollari) e andamento dei tassi di interesse (sempre sul dollaro), hanno generalmente una correlazione inversa, nel senso che quando i tassi diminuiscono l’oro tende ad apprezzarsi, e viceversa. La qual cosa è anche intuibile, perché se le attività finanziarie, e in particolare le obbligazioni, rendono poco o niente (abbiamo avuto nel recente passato anche un lungo periodo di tassi negativi o nulli), gli investitori sono portati a comprare oro: se non si percepiscono redditi diretti dalle risorse investite, allora tanto vale rifugiarsi nell’oro e puntare sul capital gain.
Ma quando i tassi sono alti, e lo sono dopo una continua e ininterrotta escalation, sarebbe ragionevole attendersi che l’investitore medio cominciasse a vendere oro, fra l’altro monetizzando anche un guadagno non trascurabile, e tornasse a comprare bonds. E che, conseguentemente, il prezzo dell’oro invertisse la tendenza e cominciasse a flettere.
E magari gli investitori retail hanno davvero dato corso a questo shifting, ma quelli importanti, che muovono somme ingenti e hanno maggiore influenza sul corso della commodity, non solo non hanno venduto l’oro, ma anzi hanno continuato a comprarne a piene mani. Chi sono questi investitori importanti? E perché continuano ad accumulare il metallo prezioso?
Alla prima domanda la risposta è piuttosto facile: in gran parte gli acquisti degli ultimi mesi sono provenuti da mani cinesi. Nel 2023 la People Bank of China (PBoC, la Banca Centrale Cinese) è stata, secondo la classifica del World Gold Council[1]), il maggior singolo acquirente di oro nel mondo, riportando un incremento delle sue riserve auree di 225 tonnellate. Questo ha inoltre rappresentato l’anno di maggior incremento delle riserve dal 1977, portando lo stock a 2.235 tonnellate complessive. Non solo: la PBoC – sempre secondo il World Gold Council – detiene solo il 4% dell’oro posseduto a vario titolo dalla Cina.
Ma se è piuttosto facile capire chi è l’autore dell’impennata dell’oro degli ultimi mesi, senz’altro più complesso individuarne i motivi, che probabilmente vanno ricercati più in ragioni di natura geopolitica che non in quelle tipicamente economiche.[2]
Da tempo è in atto un deciso movimento di “dedollarizzazione” da parte tutte le potenze mondiali che vogliono opporsi al predominio degli Stati Uniti non solo sui mari e gli oceani (dove peraltro transita circa l’80% delle merci scambiate nel mondo), ma anche sulle transazioni economiche, ancora in gran parte denominate e realizzate in dollari USA.
In effetti il motivo forse principale della potenza commerciale americana è proprio il fatto che la sua moneta (che altro non è che un debito della banca centrale) venga richiesta ed accettata come divisa di regolamento degli scambi di petrolio, di materie prime, metalli preziosi, ecc. È per questo che il biglietto verde è universalmente utilizzato anche come riserva di valore, oltre che mezzo di scambio.
Contro questo strapotere le nuove potenze mondiali si sono gradualmente coalizzate, dapprima nel gruppo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e poi, dallo scorso anno, nel cosiddetto gruppo dei “Brics allargato” che comprende anche i nuovi entrati (Argentina, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran) e che rappresenta una quota crescente del PIL globale e soprattutto della popolazione mondiale.
In questo contesto, la Cina ha quindi iniziato a vendere parte dei dollari che deteneva (e detiene ancora in grande quantità) per acquistare oro, considerato in grado di sottrarre almeno in parte agli USA l’egemonia della valuta di riferimento, e consentire una reale indipendenza strategica agli asiatici.
In questa logica, non è da trascurare il tentativo del 2022, (che per il momento non però ha avuto una grande diffusione), di regolare le forniture di petrolio dell’Arabia Saudita alla Cina in yuan anziché in dollari. Se la valuta USA non ha avuto un vero e proprio tracollo in questi mesi, da un lato è perché (per il momento) la Cina non ha interesse a deprimere oltre misura il valore di un asset posseduto ancora in grande quantità; dall’altro proprio grazie ai tassi di interesse che ancora non vengono ridotti dalla FED, nonostante l’evidente (e forse ormai strutturale) ridimensionamento dell’inflazione.
L’oro invece è cresciuto continuamente, e forse ha ancora spazio per crescere ancora di almeno un 10%.
Questa vicenda ci insegna che il mondo è cambiato – e molto - rispetto a quello che conoscevamo. Intanto è del tutto evidente che la vecchia Europa è ormai fuori dai giochi dei grandi, e che le partite che contano si giocheranno fra Stati Uniti da una parte, e Asia dall’altra. In secondo luogo, molte delle leggi che hanno governato l’economia fino a ieri, come la relazione inversa fra prezzo dell’oro e tassi di interesse, sembrano se non superate del tutto, ampiamente disattese. Ma soprattutto il mondo si sta polarizzando e le tensioni fra i due poli contrapposti sono in netta crescita, non solo sul piano economico, ma anche – purtroppo – su quello politico e militare.
[1] Il World Gold Council è l’associazione industriale delle principali aziende minerarie aurifere che fornisce le statistiche sul commercio mondiale di oro.
[2] Sull’argomento, dobbiamo ringraziare le acute osservazioni del Dott. Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte, fornite durante il recente roadshow di Websim del 21/3/2024 a Torino.
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