Uno sguardo al mondo
Proseguiamo l’analisi di scenario iniziata nei precedenti articoli, come sempre finalizzata ad acquisire utili indicazioni per la gestione del nostro portafoglio. Pur nelle diverse indicazioni che gli analisti ci offrono, è possibile ritrovare alcuni elementi comuni, i cosiddetti macrotrends.
I timori di una crisi imminente dei mercati sembrano essersi dissolti come neve al sole, forse fugati più dall’ottimismo indotto dal rasserenamento dei rapporti fra USA e Cina che da un effettivo miglioramento dei fondamentali, ovvero dei parametri e degli indicatori che misurano la situazione economica Anche la correzione di rotta della banca centrale americana ha contribuito ad allentare l’improvvisa tensione che verso la fine dell’anno scorso aveva bruscamente interrotto la crescita dei valori di mercato.
I dati societari dell’ultimo trimestre del 2018, diffusi a inizio anno insieme a quelli dell’intero esercizio fiscale, hanno confermato la buona tenuta dell’economia americana e anche le previsioni per il trimestre in corso sono complessivamente orientate alla stabilità. I tassi di interesse alla fine aumenteranno, ma si ritiene non oltre un quarto di punto nel corrente anno e questo ha rassicurato il sistema.
Per gli Stati Uniti siamo insomma di fronte a una crescita non così negativa da causare una flessione degli utili aziendali, né così robusta da spingere in forte rialzo l’inflazione e i tassi di interesse. L’inflazione è infatti intorno 2,2%, molto vicina al valore obiettivo della Banca Centrale del 2%, e il tasso di disoccupazione è al 4%, un livello che nei libri di scuola viene considerato “frizionale”, ovvero fisiologico anche in piena occupazione.
Tuttavia i corsi azionari sono molto cresciuti negli ultimi mesi e hanno raggiunto multipli elevati. Quanto potrà ancora ragionevolmente durare la cuccagna? Il redde rationem naturale è il 2020, quando scadrà il mandato dell’attuale amministrazione e gli americani saranno chiamati ad eleggere il nuovo presidente. Fino ad allora è ragionevole ritenere che i fondamentali del sistema economico americano si mantengano piuttosto stabili. Ciò non vuol dire che i valori delle attività finanziarie resteranno fermi, tutt’altro: come abbiamo più volte detto, la forte volatilità è ormai una componente strutturale dei mercati e dobbiamo quindi abituarci a stare sulle montagne russe.
C’è quindi da aspettarsi un 2019 ragionevolmente tranquillo, quanto meno tale da non rendere necessarie vendite precipitose in perdita. L’attesa per il dollaro è che dal secondo trimestre alla fine dell’anno il biglietto verde perda valore rispetto all’euro.
Alla luce di queste ipotesi, pertanto, chi ha azioni USA può tranquillamente mantenerle in portafoglio almeno per quest’anno, monitorando il mercato in modo da vendere sui rimbalzi del mercato, tenendo però sempre d’occhio il rapporto di cambio. Nuovi acquisti potrebbero essere raccomandabili solo in fine d’anno, per chi avesse un’aspettativa positiva sull’evoluzione del sistema economico USA nel 2020. Meglio stare alla larga, invece, dai titoli obbligazionari che saranno inevitabilmente penalizzati dall’aumento dei tassi, pur se contenuto rispetto alle previsioni.
Nell’altra parte del mondo, in Cina, la crescita è rallentata rispetto al passato, ma si mantiene sempre sostenuta: dal 6,6% del 2018 si prevede che passi al 6,1% per l’anno in corso. Il governo cinese ha dimostrato di saper ben condurre l’economia, manovrando politica fiscale e monetaria in modo da fornire i necessari stimoli allo sviluppo. Il problema, in questo caso, è rappresentato dai rapporti commerciali con gli USA e dall’esito dei negoziati in corso. Il sentiment comune è ora quello che l’apice della crisi sia superato e che, alla fine, si riesca a trovare un accordo che non penalizzi gli asiatici.
E’ vero che la Cina è un formidabile concorrente commerciale per le imprese americane, ma è anche vero che è il maggior detentore del debito pubblico USA e un ottimo cliente per i coltivatori di cereali e soia del Midwest e del centro del paese, importante bacino elettorale per Trump.
In generale, si può ritenere che investire sui mercati emergenti, in particolare quelli asiatici, sia in questa fase una buona idea, a patto di limitarsi ad impiegarvi una parte non eccessiva del proprio portafoglio. In tempi di bassi rendimenti, può essere un modo di migliorare le performance. In tal caso, meglio le azioni delle obbligazioni e meglio le valute locali che non il dollaro o l’euro.
Per quanto riguarda l’Europa, invece, le notizie non hanno un’intonazione altrettanto positiva e ciò soprattutto a causa delle a noi note difficoltà per l’Italia e del forte rallentamento registrato dalla Germania, storicamente la locomotiva dello sviluppo per il vecchio continente.
Le previsioni di crescita per l’Eurozona sono state riviste al ribasso, dall’1,7 all’1,1% e questo ha portato Mario Draghi, Governatore della Banca Centrale Europea (BCE) a parlare di “considerevole rallentamento dell’espansione”, tanto da portare la stessa BCE a rivedere – in senso espansivo – la propria politica monetaria.
La policy della BCE è infatti guidata da due obiettivi, fra loro contrastanti: il controllo dell’inflazione (propugnato soprattutto dai tedeschi) e il sostegno allo sviluppo. Mentre negli ultimi tempi aveva nettamente prevalso il perseguimento del primo obiettivo, con l’annunciata intenzione di aumentare i tassi e ridurre la liquidità del sistema, ora i timori per la crescita hanno preso il sopravvento. Inoltre, last but not least, l’inasprimento del clima per le relazioni commerciali con gli Stati Uniti comporterà sicuramente qualche problema per l’industria europea, in primo luogo per il settore automotive, molto presente e forte proprio in Germania.
Tuttavia i risultati delle aziende sono ancora solidi e i livelli dei mercati presentano ancora buoni spazi di crescita. Tutto sommato quindi l’investimento in azioni europee non è una cattiva idea, a patto di scegliere aziende solide e settori se non in crescita, almeno stabili e soprattutto purché rappresenti una quota non eccessiva del proprio portafoglio. In alternativa, potrebbe essere valutato anche l’investimento in un fondo azionario Europa, in cui la scelta di quali azioni sono da comprare viene demandata a gestori professionali.
Dato che, come abbiamo visto sopra, i tassi non verranno aumentati, può essere razionale investire anche in obbligazioni, tenendo però presente che, almeno per emittenti “sicuri”, i rendimenti ottenibili saranno molto contenuti.
Se questo è ciò che può dirsi in relazione alla situazione europea, l’Italia sarà invece oggetto di esame nel prossimo articolo.
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