Libero scambio e protezionismo
Nella settimana che ha visto l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, uno degli argomenti più dibattuti é stato certamente quello sulla forma di mercato: libero scambio o protezionismo? O meglio: dopo aver esaltato, dai banchi di scuola a quelli dei governi occidentali, le virtù dell’apertura dei mercati, c’e la concreta possibilità che si voglia invece tornare all’oscurantismo protezionistico?
Il tema non é solo accademico e virtuale, é invece molto concreto e reale, con importanti conseguenze sui mercati finanziari, sul lavoro delle imprese, sui consumatori e sullo Stato.
Se la circolazione delle merci è limitata, quella del denaro lo diventa in misura ancora maggiore, per cui il protezionismo economico produce, con effetto leva, quello finanziario.
La limitazione al libero scambio di merci e servizi origina ovviamente mercati chiusi che possono funzionare se un sistema è tendenzialmente autosufficiente, ovvero se al suo interno si trovano tutti i beni di cui la comunità necessita e se non esistono surplus di beni che il mercato interno non è in grado di assorbire. In caso contrario, i beni che si devono acquisire dall’esterno come minimo costeranno più cari e i beni da esportare troveranno enormi difficoltà ad essere venduti.
Per quanto riguarda i consumatori, naturalmente pagheranno più cari i loro consumi, essendo questa la naturale contropartita del vantaggio competitivo concesso alle imprese nazionali. Ci saranno poi una serie di prodotti che saranno per loro del tutto inaccessibili: quelli realizzati da imprese straniere.
Infine la pubblica amministrazione dovrà organizzarsi per la riscossione delle imposte doganali, da un lato, e riequilibrare con la fiscalità la distorsione del carico a vantaggio delle imprese e a scapito delle famiglie dall’altro.
Per quanto detto fin qui, sembra che le uniche a trarre profitto dai mercati protetti siano le imprese, che, essendo libere dalla pressione della concorrenza, possono permettersi di imporre prezzi più alti e di tenere livelli di produttività inferiori. Ma occorre fare una serie di distinguo.
In primo luogo, le aziende favorite dal protezionismo sono quelle meno efficienti e che hanno solo un mercato interno. Le alte ne sono invece danneggiate perché si trovano preclusi mercati dove potrebbero collocare i loro prodotti a condizioni remunerative. Non solo, ma la pressione al ribasso sui salari (inevitabile in un mercato del lavoro parimenti chiuso: se vuoi lavorare puoi farlo solo qui e alle mie condizioni) trova un limite nella capacità dei lavoratori di acquistare prodotti a prezzi crescenti. Il punto non è tanto la preoccupazione per le condizioni dei lavoratori (alle quali le imprese sono in genere poco sensibili), quanto il fatto che essi, alla fine, costituiscono l’unico mercato di riferimento delle imprese protette: se i consumatori non hanno soldi per comprare, certamente le imprese non vendono. Se dovessimo fare un bilancio di vantaggi e svantaggi dei due sistemi a confronto, è difficile affermare la superiorità del protezionismo. Può avere un senso solo come misura di emergenza, per un periodo di tempo limitato, in chiave difensiva per il sistema produttivo di un certo paese. Nel lungo periodo, inevitabilmente, i nodi vengono al pettine.
Perché allora Trump ha messo nel suo programma l’adozione di misure protezionistiche? Credo che le ragioni siano essenzialmente due :
- La cambiale messa all’incasso dall’industria che ha dato il suo sostegno per l'elezione e che teme la concorrenza, soprattutto asiatica;
- Il complesso problema dei flussi migratori.
Sul primo aspetto, c’è poco da aggiungere a quanto detto sopra. Solo il fatto che la dinamica delle valute (in modo particolare l’andamento del dollaro), è un tema molto sensibile per i detentori, prevalentemente asiatici, dei titoli del debito pubblico americano. Sul secondo, le motivazioni reali sembrano più di natura ideologica o emotiva che non economica. I migranti rappresentano un grande problema delle società occidentali di oggi. I flussi incontrollati sicuramente pongono problemi di ordine pubblico, di assistenza e servizi per un numero molto elevato di persone.
Ma possono rappresentare anche una notevole opportunità sia come forza lavoro in un sistema che da tempo si trova in massima occupazione, sia come mercato addizionale interno.
E d’altra parte, la ricchezza degli Stati Uniti nella storia è stata costruita proprio grazie alla tradizionale accoglienza e integrazione offerta agli immigrati, in un paese in cui non esiste, salvo quello dei pellerossa, nessun ceppo etnico autoctono. Ogni americano è anche qualcos’altro: italiano, irlandese, greco, cinese e così via.
Del resto, la Statua della Libertà, la prima visione che ha dell’America chi la raggiunge dal mare, accoglie i visitatori con le parole del noto sonetto di Emma Lazarus incise sul piedistallo::
“Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifuti miserabili della vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata”
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